Lo spazio specifico dell’AEC (Assistente Educativo Culturale)

papaefiglio_h_partbLa spazio specifico dell’AEC

di Laura Dominijanni
Se lavori a scuola come AEC già lo sai, se invece non fai ancora parte di questo mondo ma te ne stai incuriosendo leggendo qualche nostro materiale o in altro modo, lo avrai ugualmente intuito: l’Assistente Educativo Culturale si muove all’interno di un sistema complesso! E questo non solo perché ha a che fare con le sfide relazionali e pragmatiche poste dalla disabilità, ma perché deve contemporaneamente lavorare in sinergia con gli insegnanti ed eventuali altre figure coinvolte nella riabilitazione e cura dell’alunno, mantenere la giusta distanza e posizione con i genitori, la Cooperativa, etc…
L’idea che propongo è che l’AEC ha bisogno di crearsi un proprio spazio, di cui prendersi cura. Uno spazio, ovviamente metaforico, in cui incontrare e accogliere l’alunno ma anche da aprire allo scambio con le altre figure. Questo può avvenire in modo produttivo se lo spazio è al contempo curato e protetto (dalle aggressioni), pronto in tal modo allo scambio. In tanti mi avete scritto in questi giorni, riferendomi spesso di situazioni difficili…sia nel rapporto con l’alunno che con gli insegnanti o la Cooperativa. Sembra faticoso definire e tutelare lo spazio dell’AEC… Voglio proporvi a questo proposito una metafora.

 

Mi viene in mente l’immagine di un giardino con alberi da frutta: per arrivare a poter essere bello, accogliente e produttivo ha bisogno di tempo e cura. Il terreno, anche nel caso fosse “fertile per natura”, avrà bisogno di essere quantomeno un po’ smosso e poi periodicamente irrigato… La formazione e l’aggiornamento sono indispensabili per riuscire a far attecchire nuove piante (competenze AEC), anche per chi avesse già una provenienza formativa psico-pedagogica (il terreno “fertile per natura”)! Detto ciò, non tutti amano piantare nel proprio giardino le stesse piante, vuoi per gusto estetico, vuoi per preferenza verso il sapore di un frutto piuttosto che di un altro, vuoi ancora perché è il terreno stesso a fare una “selezione”… Questa fase formativa è molto importante: è utile che ciascuno capisca quali sono le specifiche competenze dell’AEC, che le possa acquisire, perfezionare e allenarle, divenendo contemporaneamente consapevole dei propri specifici “punti di forza” e di “debolezza”; è invece inutile e dispendioso impiegare energie per coltivare piante esotiche che mai attecchiranno (perché pensate per altri climi e terreni) o, peggio, che se attecchissero impoverirebbero il terreno succhiandogli tutti i nutrienti necessari a far crescere le “sue” piante…L’AEC non è uno psicologo, né un insegnante, per esempio!
Punto dolente, lo so!…Nella mia esperienza di AEC, per esempio, ci sono state diverse occasioni in cui sono stata “richiamata” o anche quasi esplicitamente delegata a questi ruoli impropri…Se poi ci mettete che psicologa lo sono davvero (cosa che gli insegnanti sapevano e che accade per molti AEC) e che di didattica avevo un po’ di esperienza…capite bene che il rischio di scivolare da un ruolo all’altro è facile, ma è appunto un RISCHIO da monitorare ed evitare! Sarebbe come piantare frutti esotici nel proprio terreno… Il giardino va curato e, poi, anche protetto dalle aggressioni esterne. Recintarlo (non con fino spinato, ma con dei bei cancelletti di ingresso e uscita!), per esempio, aiuta ad averne chiari i confini: lavorando come AEC avrai dei vicini con giardini più o meno limitrofi (insegnanti, psicologi, logopedisti e altre figure) con cui potrai e dovrai opportunamente confrontarti e scambiare frutti! Per l’alunno con disabilità, utente finale del tuo servizio (non dimenticarlo!), è assai più utile avere la possibilità di entrare in spazi diversi e poter riempire, insieme a te e ai diversi proprietari dei vari giardini, una bella cesta di frutta, multicolore e multigusto!
A tal proposito, mi viene in mente di una situazione in cui, leggendo in modo chiaro un malessere generale della classe cui si intrecciavano dinamiche di esclusione e provocazione dell’alunna a me “assegnata”, proposi agli insegnanti di dedicare degli spazi al gruppo classe attraverso lo strumento del circle-time (si trattava di una classe IV elementare). Ne uscì fuori un bel lavoro di squadra, cui io contribuii mettendo l’idea e nella programmazione delle attività, ma che fu poi portato avanti con l’insegnate di sostegno, “conduttrice” del gruppo e riferimento della classe, com’è giusto che sia nel rispetto dei ruoli e dei confini. Io sedevo a fianco dell’alunna quando necessario o svolgevo in altro modo il ruolo di ponte per lei, facendo attenzione a non prendermi la delega per l’intera classe. Capitò anche, dopo un po’, che fu possibile fare un circle-time in mia assenza: la ragazzina da me seguita, avendo sperimentato di stare in uno spazio condiviso (tra i compagni e tra gli insegnanti/educatori) poteva rimanerci anche senza di me, assaporando altri frutti.
E’ assai rischioso prendersi le deleghe a accentrare su di sé troppe attenzioni ed emozioni (dell’alunno e del sistema in cui è immerso): quando si dice “l’alimentazione deve essere varia e bilanciata!”…
E tu, cosa ne pensi? Ti è mai capitato di trovarti in situazioni di “delega” o di essere tentato di “fare di più”? Come hai agito?.

% Commenti (4)

Salve
l’articolo (interessante) di Laura Dominijanni e la testimonianza dell’insegnante che ho percepito autentica nel senso di vissuta a livello emotivo mi inducono alcune riflessioni:
– l’aumento spropositato di figure assegnate al bambino con deficit/bisogni educativi speciali gioca sempre a sfavore dell’integrazione, all’opposto favorisce meccanismi di “delega”:il bambino non è più un alunno,tra gli altri,di una classe ma è l’alunno della maestra di sostegno, dell’AEC, dell’assistente alla comunicazione e chi più ne ha più ne metta…
– certamente in questa clima delegante, l’assistente educativo culturale soprattutto se ha maturato poca esperienza e professionalità ed è poco formato (punto dolente!) rischia facilmente di scivolare nel ruolo dell’addetto alla “repressione”, mettendo in atto una serie di interventi di tipo contenitivo-punitivo tutti perfettamenti inutili ma sicuramente corrispondenti alle aspettative di altri
-questa situazioni e queste dinamiche sono alimentate dalle condizioni oggettive di lavoro degli AEC, dal profilo poco definito di questa figura (a tal proposito invito alla lettura del cosiddetto mansionario dell’aec è scaricabile dai siti dei vari municipi romani), dalla preparazione non sempre adeguata, dallo spirito d’improvvisazione tipicamente italico che haimè contagia un po’ tutti non solo nelle scuole! Dimenticavo,sono un AEC e cerco i costruire l’integrazione ogni giorno con in tasca poche certezze, molti interrogativi, tanta passione.

ciao Carmine ho letto il tuo intervento e mi trovo d’accordo, sono una aec anch’io e il ruolo non sempre risulta facile perche dobbiamo conciliare e trovare l’equilibrio tra il nostro modo di agire sul bambino in difficoltà e le azioni che vengono svolte dalle figure professionali che ruotano intorno a lui. Mi è successo per esempio che alcune azioni svolte da altre figure risultavano controproducenti circa il ruolo e il mio progetto educativo che dovevo svolgere, a volte le stesse figure non conoscono nello specifico il tuo ruolo ti caricano di aspettative o al contrario non vieni presa in considerazione, insomma una bella sfida, malgrado siano anni che questo servizio è stato messo a disposizione nelle scuole molti insegnanti rimangono perplessi se non ostili

Convinta? Sarei curioso di sentire le altre campane.

Salve, come si fa a diventare AEC?

Lascia un commento

× Contattaci su WhatsApp