Bisogni Educativi Speciali. Cosa cambia per gli insegnanti?
Con la circolare del 6 marzo 2013, il MIUR dà indicazioni specifiche su come la scuola deve rispondere alla presenza in classe di allievi con Bisogni Educativi Speciali.
Come al solito le indicazioni su cosa fare sono chiare, ma la domanda che molti insegnanti (e dirigenti scolastici) si stanno facendo in questo momento, e che resta ancora aperta, è “COME Rispondere ai Bisogni Educativi Speciali“?
Tentiamo di dare una risposta riflettendo sulle principali novità della circolare:
In realtà la circolare si richiama alla necessità di personalizzazione degli apprendimenti, principio già enunciato dalla legge Moratti ( Legge 53/2003), quindi a pensarci bene, forse niente di nuovo sotto il sole. Ciò che sta facendo dubitare dirigenti e insegnanti è il capoverso in cui si dice che:
“Ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di classe o il team dei docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso.”
Da qui il disorientamento, nel senso che molti insegnanti si chiedono (e mi chiedono) “Possiamo noi insegnanti, con gli strumenti che abbiamo, valutare e affermare che un bambino ha un disagio specifico e quindi necessità di un’educazione speciale?”
La domanda è legittima, però forse la risposta è più semplice di quanto si pensi. Infatti, se è vero che, come dicevo pocanzi, già con la legge Moratti, gli insegnanti sono stati chiamati a personalizzare a partire da bisogni formativi specifici, bisogna solo ancora una volta riflettere sul concetto di personalizzazione e mi piace riportare qui la definizione del termine che propone Baldacci (2002), perchè mi sembra abbastanza esplicativa.
La personalizzazione si riferisce a “ …quella famiglia di strategie didattiche la cui finalità è quella di assicurare ad ogni studente una propria forma di eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie Potenzialità intelletive”.
E a questo punto la domanda del povero insegnante è “Ma come faccio ad assicurare ad ogni studente con Bisogni Educativi Speciali la possibilità di un percorso specifico e personale?”
E qui sta l’errore, perché come dico ormai da 10 anni agli insegnanti che formo, non possiamo pensare di creare dei percorsi “individuali” per ciascun ragazzo, perché verrebbe meno il principio stesso della convivenza civile a cui la scuola e’ chiamata ad educare. Non avrebbe senso, infatti, lo stare insieme se ciascuno dovesse fare un percorso a sé,
l’unica risposta possibile, sia in termini di finalita’ educativa che, in termini di possibilita’ di realizzazione pratica (altrettanto importante), e’ che il consiglio di classe adotti delle metodologie inclusive che possano facilitare l’apprendimento di tutti gli allievi, sia di quelli con BES che degli altri.
Personalizzare significa mettere tutti nella condizione di poter apprendere nel migliore dei modi e questo spesso, erroneamente, viene confuso con l’idea di creare un adattamento individuale per ciascuno. Non può essere questa la risposta, sia perché non è umanamente possibile per un insegnante pensare di creare 25 percorsi didattici diversi, sia perché non sarebbe educativo. Quello che è realmente possibile, ed auspicabile, è di adoperarsi per trovare delle metodologie didattiche che possano trasversalmente raggiungere tutti. Si ma quali?
Ne esistono diverse. Alcuni esempi sono le strutture di Apprendimento Cooperativo che facilitano sia i bambini con ADHD, (perché propongo tempi brevi di impegno, spezzettano il compito complesso e sono molto strutturate), sia i bambini con DSA che i bambini stranieri(perché il compagno di gruppo diventa strumento compensativo, facendo quei compiti che al bambino con il disturbo risultano più difficili, come leggere o calcolare), sia i bravi, che si vedono investiti di un ruolo adatto alle loro capacità, nel piccolo gruppo.
Questo è un esempio, ma esistono molte altre metodologie inclusive, come le attività didattiche che valorizzano le intelligenze multiple, l’utilizzo della LIM ecc., delle mappe concettuali ecc.
Il punto quindi non può essere quello di pensare a percorsi individuali, ma formare gli insegnanti ad utilizzare metodologie inclusive trasversali che raggiungano tutti, tenendo conto, sicuramente dei bisogni dei bambini, ma anche delle risorse che gli insegnanti stessi hanno a disposizione sia in termini di tempo che di materiali.